Domande frequenti
Qui di seguito si trovano le risposte alle principali domande o critiche sull’utilizzo del sorteggio in democrazia. Per avere più informazioni circa le Assemblee dei Cittadini è invece possibile visionare il PDF dedicato. Per ulteriori chiarimenti, osservazioni, domande o curiosità, non esitate a contattarci!
Oltre ad essere stato ritenuto lo strumento democratico per eccellenza da illustri pensatori del passato (Aristotele, Montesquieu, Rousseau) e praticato come tale in varie realtà politiche della storia (dalle città stato dell’antica Grecia, Atene, fino ai Comuni italiani e non solo di epoca medievale, tra cui Venezia e Firenze) il sorteggio garantisce alcune specifiche condizioni, fondamentali se parliamo di Democrazia:
- Uguaglianza politica dei cittadini ed Equità: tutti hanno le stesse possibilità di accedere alle cariche pubbliche
- Rappresentanza sociale: la società viene rappresentata in modo fedele nell’assemblea, nel rispetto della sua eterogeneità e nella tutela delle sue minoranze
- Indipendenza: i cittadini perseguono soltanto il proprio interesse, ovvero quello della propria comunità, e in un’ottica di lungo periodo, non avendo alcunché da guadagnare nel fare diversamente
- Qualità delle decisioni: decisioni (consapevoli ed informate!) prese dalla comunità per la comunità sono comprovatamene migliori di decisioni prese da alcuni per altri.
Primo. Che, ad oggi, in quasi tutte le grandi democrazie del mondo, ci sia accountability tra eletti ed elettori è una falsità. E anche laddove si hanno sistemi elettorali (e culturali) che lo consentono maggiormente, la democrazia non gode comunque di piena salute, quindi il problema persiste! Quanti di noi sentono di avere un “controllo” sulle persone che eleggono? È comunque pur vero che a questo si potrebbe porre rimedio con istituti che non hanno a che fare con la democrazia aleatoria, come il recall… Non dimentichiamo comunque che nel nostro ordinamento – e a dir la verità in quasi tutti – non esiste vincolo di mandato per gli eletti. Ciò significa che essi non devono necessariamente rispondere al proprio elettorato per le loro scelte. Sono dunque del tutto liberi? No, tre parole: disciplina di partito.
Secondo. Non è vero che non c’è accountability per un cittadino sorteggiato! Anzi, è rivolta non solo a un gruppo di persone (come nel caso degli elettori per gli eletti) ma a tutta la comunità. Proprio perché il sorteggiato è un comune cittadino, egli si ritroverà senz’altro a dover giustificare la propria azione dinanzi ai suoi concittadini. Il cittadino sorteggiato ha dunque molto da perdere da una sua scelta sbagliata o presa contro l’interesse generale, perché l’interesse generale è anche il suo. Egli non ha inoltre modo di perseguire secondi fini, perché il mandato ha durata limitata nel tempo. Il cittadino sorteggiato è, in altre parole, totalmente indipendente! Non esiste disciplina di partito. Non esiste la promessa di un beneficio personale per il futuro. Egli guarda soltanto a cosa è meglio per la sua comunità.
Terzo. Per queste ragioni, non è vero che il sorteggiato è de-responsabilizzato! Tutt’altro. Poter entrare nel cuore delle decisioni politiche per la comunità è la miglior scuola di educazione civica che possa esistere. Il meccanismo del sorteggio responsabilizza i cittadini chiamati a prendere decisioni importanti per loro e per gli altri.
Non è esatto. Se parliamo dello strumento-sorteggio, esso lo si trova citato sia in Costituzione (art 135), sia nei regolamenti di Camera (art 3) e Senato (art 6, 116 e 118). L’utilizzo del sorteggio, per altro, era previsto anche nello Statuto Albertino fino al 1919 negli articoli 8 e 29.
Che si guardi al passato o al presente, stiamo comunque parlando di un utilizzo del sorteggio per il “funzionamento” e “organizzazione” dell’Assemblea legislativa, non per la sua “formazione”. Tuttavia, come hanno fatto notare alcuni studiosi e costituzionalisti, la Costituzione non prevede questa possibilità, ma neppure la esclude. E non è un passaggio scontato, dal momento che vi sono ipotesi che la Costituzione nega chiaramente, come il ritorno alla Monarchia. E comunque, la Costituzione è un testo scritto dagli uomini per gli uomini; pertanto, niente di immodificabile e inalterabile. Anzi, sarebbe auspicabile che rimanesse sempre al passo con l’evoluzione della società. Niente toglie, in sostanza, che si possa istituire un’assemblea di sorteggiati accanto a una di eletti, con funzioni diverse tra loro.
Ma il sorteggio viene valutato come possibile strumento di selezione anche in ambiti diversi da quello dell’assemblea legislativa. Ricordiamo, intanto, che già oggi è contemplato per la composizione della Corte d’assise. Sempre nel campo della magistratura, alcuni lo considerano una valida alternativa per selezionare i membri del Consiglio Superiore della Magistratura. Esiste su questo un disegno di legge presentato al Senato nel 2014. Anche in Svizzera, ad esempio, esiste una proposta per designare per sorteggio i giudici del Tribunale Federale.
Ma anche in altri ambiti riscuote successo. Proposte sono state avanzate per un suo utilizzo nella nomina dei Consigli d’Amministrazione di grandi aziende pubbliche come la Rai o di altre partecipate, nonché dei componenti delle commissioni di gara per gli appalti pubblici. Nel 2015 si è avuta alla Camera una proposta di legge per l’attribuzione di incarichi pubblici mediante sorteggio.
Innanzitutto, la democrazia non è il governo dei tecnici o dei più competenti, ma del popolo.
In secondo luogo, i sorteggiati si avvalgono dell’aiuto degli esperti per decidere secondo coscienza e in modo informato. Come del resto avviene già oggi in Parlamento, dove siedono centinaia di persone, ciascuna con le proprie esperienze e competenze settoriali, e dove nonostante ciò tutti votano su tutto. Questo perché esistono “gli esperti”, che vengono regolarmente e costantemente consultati dai politici di ogni rango e posizione. Le persone con competenze tecniche e specializzate servono alla democrazia, sono vitali, basta però che facciano gli esperti e non i decisori. Gli esperti illustrano, spiegano, insegnano, consigliano, convincono o non convincono ma non devono decidere. Se decidono, la democrazia muore e siamo nella tecnocrazia.
E dunque, incompetenza non significa stupidità! È comprovato e dimostrato che non è necessario che chi delibera, chi prende decisioni, possieda competenze specifiche sull’oggetto della deliberazione; e questo è appunto già valido oggi. Qualcuno potrebbe giustamente obiettare “e infatti oggi le cose non vanno tanto bene…”. Giusto, ma ciò non dipende dal fatto che i decisori abbiano scarse competenze. Dipende dal fatto che a prevalere siano logiche diverse da quella del perseguimento dell’interesse generale di lungo periodo!
Per concludere, facciamo un esempio pratico. Se dovete fare un lavoro di ristrutturazione in casa, almeno che non siate costruttori edili, cosa fate? Vi recate da più ditte per dei preventivi e poi scegliete. Ovvero, sentite “gli esperti” e poi scegliete. Voi scegliete, non loro!
Ecco perché l’ascolto e l’interrogazione di professionisti ed esperti del settore oggetto di deliberazione da parte dei cittadini deliberanti è una delle fasi-chiave dei processi di democrazia aleatoria.
Innanzitutto, la democrazia non è il governo dei meritevoli o dei più competenti, ma del popolo.
In secondo luogo; forse la democrazia rappresentativa elettiva garantisce meritocrazia? Davvero pensiamo che gli eletti vengano eletti perché meritevoli di capacità che non siano, al limite, puramente comunicative? Per la maggior parte di chi aspira ad essere eletto l’importante non è saper fare ma saper comunicare. La politica di oggi è pura comunicazione. “Un teatrino”, se vogliamo usare un termine dispregiativo…
In terzo luogo, la democrazia aleatoria riconosce il ruolo fondamentale per la società e per la politica degli esperti, dei competenti, dei meritevoli, che hanno il delicato compito di assistere i cittadini decisori, di informali e supportarli nel loro lavoro.
Effettivamente, dalla seconda metà ‘700, con l’avvento delle rivoluzioni americana e francese e la nascita delle prime “Repubbliche democratiche”, il sorteggio è stato accantonato come metodo democratico e sostituito dall’elezione. Una pratica, fino ad allora, conosciuta soprattutto per la designazione dei Papi.
Perché? Vi sono più ragioni.
La prima è una ragione pratica: le dimensioni di stati come la Francia non erano lontanamente paragonabili a quelle di città-stato come Atene o i Comuni italiani medievali. Non solo, ma alla fine del XVIII secolo i registri nazionali di stato civile e le statistiche demografiche non erano ancora abbastanza sviluppati per dare al sorteggio una reale possibilità̀ di applicazione.
Tuttavia, gli ostacoli pratici non sono la sola ragione. Vi era una ragione culturale dietro quella pratica. Una visione culturale tale per cui le masse dovevano essere tenute fuori dalle decisioni politiche.
In definitiva, una democrazia di tipo aleatorio non fu infatti mai considerata come ipotesi praticabile né dai padri fondatori della Rivoluzione americana né da quelli della Rivoluzione francese e non solo per ragioni pratiche. Si evince chiaramente negli scritti rivoluzionari americani e francesi che gli autori non soltanto non potessero, ma neppure volessero applicare il sorteggio come pratica democratica.
Ma per quale motivo?
La ragione principale è che a compiere le rivoluzioni nel 1776 in America e nel 1789 in Francia non fu il popolo, ma la borghesia. Ovvero, una classe piuttosto ristretta di persone ricche e facoltose, estromesse fino a quel momento dai centri di potere politico, dominati ancora dalla Monarchia e dalla nobiltà̀. Possiamo infatti dire che queste rivoluzioni non rimpiazzarono un’aristocrazia con una democrazia, ma sostituirono un’aristocrazia ereditaria (quella della nobiltà) con un’aristocrazia elettiva (la loro).
Queste nuove élite aspiravano a un governo repubblicano, ma non democratico. Prova ne è il fatto che i padri fondatori delle Rivoluzioni americana e francese evitassero l’utilizzo della parola “democrazia”. Nei dibattiti sul diritto di voto avvenuti all’Assemblea costituente francese tra il 1789 e il 1791, ad esempio, non appare nemmeno una volta.
John Adams, secondo presidente USA, ammoniva: «ricordate che una democrazia non dura mai a lungo. Si esaurisce e causa la sua stessa morte». A detta sua, il popolo era incapace di governarsi da solo. La tappa essenziale, spiegava, consisteva nel «delegare il potere dei molti a un numero ristretto dei migliori e più̀ saggi» (to depute power from the many, to a few of the most wise and good). Un regime dominato dai migliori: non è forse esattamente il senso della parola greca aristocrazia? Della stessa opinione erano anche molti altri, tra cui James Madison e Benjamin Constant.
Col tempo, queste Rivoluzioni a carattere aristocratico assunsero una legittimità̀ democratica e si assistette parallelamente ad una democratizzazione del concetto e della pratica delle elezioni. A fare da apripista fu innanzitutto un cambiamento di terminologia. Le repubbliche fondate sul diritto di voto, per quanto restrittivo fosse, ricevettero sempre più spesso il nome di “Democrazie”.
Oltre ad essere stato ritenuto lo strumento democratico per eccellenza da illustri pensatori del passato (Aristotele, Montesquieu, Rousseau) e praticato come tale in varie realtà politiche della storia (dalle città stato dell’antica Grecia, Atene, fino ai Comuni italiani e non solo di epoca medievale, tra cui Venezia e Firenze) il sorteggio garantisce alcune specifiche condizioni, fondamentali se parliamo di Democrazia:
- Uguaglianza politica dei cittadini ed Equità: tutti hanno le stesse possibilità di accedere alle cariche pubbliche
- Rappresentanza sociale: la società viene rappresentata in modo fedele nell’assemblea, nel rispetto della sua eterogeneità e nella tutela delle sue minoranze
- Indipendenza: i cittadini perseguono soltanto il proprio interesse, ovvero quello della propria comunità, e in un’ottica di lungo periodo, non avendo alcunché da guadagnare nel fare diversamente
- Qualità delle decisioni: decisioni (consapevoli ed informate!) prese dalla comunità per la comunità sono comprovatamene migliori di decisioni prese da alcuni per altri.
Primo. Che, ad oggi, in quasi tutte le grandi democrazie del mondo, ci sia accountability tra eletti ed elettori è una falsità. E anche laddove si hanno sistemi elettorali (e culturali) che lo consentono maggiormente, la democrazia non gode comunque di piena salute, quindi il problema persiste! Quanti di noi sentono di avere un “controllo” sulle persone che eleggono? È comunque pur vero che a questo si potrebbe porre rimedio con istituti che non hanno a che fare con la democrazia aleatoria, come il recall… Non dimentichiamo comunque che nel nostro ordinamento – e a dir la verità in quasi tutti – non esiste vincolo di mandato per gli eletti. Ciò significa che essi non devono necessariamente rispondere al proprio elettorato per le loro scelte. Sono dunque del tutto liberi? No, tre parole: disciplina di partito.
Secondo. Non è vero che non c’è accountability per un cittadino sorteggiato! Anzi, è rivolta non solo a un gruppo di persone (come nel caso degli elettori per gli eletti) ma a tutta la comunità. Proprio perché il sorteggiato è un comune cittadino, egli si ritroverà senz’altro a dover giustificare la propria azione dinanzi ai suoi concittadini. Il cittadino sorteggiato ha dunque molto da perdere da una sua scelta sbagliata o presa contro l’interesse generale, perché l’interesse generale è anche il suo. Egli non ha inoltre modo di perseguire secondi fini, perché il mandato ha durata limitata nel tempo. Il cittadino sorteggiato è, in altre parole, totalmente indipendente! Non esiste disciplina di partito. Non esiste la promessa di un beneficio personale per il futuro. Egli guarda soltanto a cosa è meglio per la sua comunità.
Terzo. Per queste ragioni, non è vero che il sorteggiato è de-responsabilizzato! Tutt’altro. Poter entrare nel cuore delle decisioni politiche per la comunità è la miglior scuola di educazione civica che possa esistere. Il meccanismo del sorteggio responsabilizza i cittadini chiamati a prendere decisioni importanti per loro e per gli altri.
Non è esatto. Se parliamo dello strumento-sorteggio, esso lo si trova citato sia in Costituzione (art 135), sia nei regolamenti di Camera (art 3) e Senato (art 6, 116 e 118). L’utilizzo del sorteggio, per altro, era previsto anche nello Statuto Albertino fino al 1919 negli articoli 8 e 29.
Che si guardi al passato o al presente, stiamo comunque parlando di un utilizzo del sorteggio per il “funzionamento” e “organizzazione” dell’Assemblea legislativa, non per la sua “formazione”. Tuttavia, come hanno fatto notare alcuni studiosi e costituzionalisti, la Costituzione non prevede questa possibilità, ma neppure la esclude. E non è un passaggio scontato, dal momento che vi sono ipotesi che la Costituzione nega chiaramente, come il ritorno alla Monarchia. E comunque, la Costituzione è un testo scritto dagli uomini per gli uomini; pertanto, niente di immodificabile e inalterabile. Anzi, sarebbe auspicabile che rimanesse sempre al passo con l’evoluzione della società. Niente toglie, in sostanza, che si possa istituire un’assemblea di sorteggiati accanto a una di eletti, con funzioni diverse tra loro.
Ma il sorteggio viene valutato come possibile strumento di selezione anche in ambiti diversi da quello dell’assemblea legislativa. Ricordiamo, intanto, che già oggi è contemplato per la composizione della Corte d’assise. Sempre nel campo della magistratura, alcuni lo considerano una valida alternativa per selezionare i membri del Consiglio Superiore della Magistratura. Esiste su questo un disegno di legge presentato al Senato nel 2014. Anche in Svizzera, ad esempio, esiste una proposta per designare per sorteggio i giudici del Tribunale Federale.
Ma anche in altri ambiti riscuote successo. Proposte sono state avanzate per un suo utilizzo nella nomina dei Consigli d’Amministrazione di grandi aziende pubbliche come la Rai o di altre partecipate, nonché dei componenti delle commissioni di gara per gli appalti pubblici. Nel 2015 si è avuta alla Camera una proposta di legge per l’attribuzione di incarichi pubblici mediante sorteggio.
Innanzitutto, la democrazia non è il governo dei tecnici o dei più competenti, ma del popolo.
In secondo luogo, i sorteggiati si avvalgono dell’aiuto degli esperti per decidere secondo coscienza e in modo informato. Come del resto avviene già oggi in Parlamento, dove siedono centinaia di persone, ciascuna con le proprie esperienze e competenze settoriali, e dove nonostante ciò tutti votano su tutto. Questo perché esistono “gli esperti”, che vengono regolarmente e costantemente consultati dai politici di ogni rango e posizione. Le persone con competenze tecniche e specializzate servono alla democrazia, sono vitali, basta però che facciano gli esperti e non i decisori. Gli esperti illustrano, spiegano, insegnano, consigliano, convincono o non convincono ma non devono decidere. Se decidono, la democrazia muore e siamo nella tecnocrazia.
E dunque, incompetenza non significa stupidità! È comprovato e dimostrato che non è necessario che chi delibera, chi prende decisioni, possieda competenze specifiche sull’oggetto della deliberazione; e questo è appunto già valido oggi. Qualcuno potrebbe giustamente obiettare “e infatti oggi le cose non vanno tanto bene…”. Giusto, ma ciò non dipende dal fatto che i decisori abbiano scarse competenze. Dipende dal fatto che a prevalere siano logiche diverse da quella del perseguimento dell’interesse generale di lungo periodo!
Per concludere, facciamo un esempio pratico. Se dovete fare un lavoro di ristrutturazione in casa, almeno che non siate costruttori edili, cosa fate? Vi recate da più ditte per dei preventivi e poi scegliete. Ovvero, sentite “gli esperti” e poi scegliete. Voi scegliete, non loro!
Ecco perché l’ascolto e l’interrogazione di professionisti ed esperti del settore oggetto di deliberazione da parte dei cittadini deliberanti è una delle fasi-chiave dei processi di democrazia aleatoria.
Innanzitutto, la democrazia non è il governo dei meritevoli o dei più competenti, ma del popolo.
In secondo luogo; forse la democrazia rappresentativa elettiva garantisce meritocrazia? Davvero pensiamo che gli eletti vengano eletti perché meritevoli di capacità che non siano, al limite, puramente comunicative? Per la maggior parte di chi aspira ad essere eletto l’importante non è saper fare ma saper comunicare. La politica di oggi è pura comunicazione. “Un teatrino”, se vogliamo usare un termine dispregiativo…
In terzo luogo, la democrazia aleatoria riconosce il ruolo fondamentale per la società e per la politica degli esperti, dei competenti, dei meritevoli, che hanno il delicato compito di assistere i cittadini decisori, di informali e supportarli nel loro lavoro.
Effettivamente, dalla seconda metà ‘700, con l’avvento delle rivoluzioni americana e francese e la nascita delle prime “Repubbliche democratiche”, il sorteggio è stato accantonato come metodo democratico e sostituito dall’elezione. Una pratica, fino ad allora, conosciuta soprattutto per la designazione dei Papi.
Perché? Vi sono più ragioni.
La prima è una ragione pratica: le dimensioni di stati come la Francia non erano lontanamente paragonabili a quelle di città-stato come Atene o i Comuni italiani medievali. Non solo, ma alla fine del XVIII secolo i registri nazionali di stato civile e le statistiche demografiche non erano ancora abbastanza sviluppati per dare al sorteggio una reale possibilità̀ di applicazione.
Tuttavia, gli ostacoli pratici non sono la sola ragione. Vi era una ragione culturale dietro quella pratica. Una visione culturale tale per cui le masse dovevano essere tenute fuori dalle decisioni politiche.
In definitiva, una democrazia di tipo aleatorio non fu infatti mai considerata come ipotesi praticabile né dai padri fondatori della Rivoluzione americana né da quelli della Rivoluzione francese e non solo per ragioni pratiche. Si evince chiaramente negli scritti rivoluzionari americani e francesi che gli autori non soltanto non potessero, ma neppure volessero applicare il sorteggio come pratica democratica.
Ma per quale motivo?
La ragione principale è che a compiere le rivoluzioni nel 1776 in America e nel 1789 in Francia non fu il popolo, ma la borghesia. Ovvero, una classe piuttosto ristretta di persone ricche e facoltose, estromesse fino a quel momento dai centri di potere politico, dominati ancora dalla Monarchia e dalla nobiltà̀. Possiamo infatti dire che queste rivoluzioni non rimpiazzarono un’aristocrazia con una democrazia, ma sostituirono un’aristocrazia ereditaria (quella della nobiltà) con un’aristocrazia elettiva (la loro).
Queste nuove élite aspiravano a un governo repubblicano, ma non democratico. Prova ne è il fatto che i padri fondatori delle Rivoluzioni americana e francese evitassero l’utilizzo della parola “democrazia”. Nei dibattiti sul diritto di voto avvenuti all’Assemblea costituente francese tra il 1789 e il 1791, ad esempio, non appare nemmeno una volta.
John Adams, secondo presidente USA, ammoniva: «ricordate che una democrazia non dura mai a lungo. Si esaurisce e causa la sua stessa morte». A detta sua, il popolo era incapace di governarsi da solo. La tappa essenziale, spiegava, consisteva nel «delegare il potere dei molti a un numero ristretto dei migliori e più̀ saggi» (to depute power from the many, to a few of the most wise and good). Un regime dominato dai migliori: non è forse esattamente il senso della parola greca aristocrazia? Della stessa opinione erano anche molti altri, tra cui James Madison e Benjamin Constant.
Col tempo, queste Rivoluzioni a carattere aristocratico assunsero una legittimità̀ democratica e si assistette parallelamente ad una democratizzazione del concetto e della pratica delle elezioni. A fare da apripista fu innanzitutto un cambiamento di terminologia. Le repubbliche fondate sul diritto di voto, per quanto restrittivo fosse, ricevettero sempre più spesso il nome di “Democrazie”.
Innanzitutto, la democrazia non è il governo dei tecnici o dei più competenti, ma del popolo.
In secondo luogo, i sorteggiati si avvalgono dell’aiuto degli esperti per decidere secondo coscienza e in modo informato. Come del resto avviene già oggi in Parlamento, dove siedono centinaia di persone, ciascuna con le proprie esperienze e competenze settoriali, e dove nonostante ciò tutti votano su tutto. Questo perché esistono “gli esperti”, che vengono regolarmente e costantemente consultati dai politici di ogni rango e posizione. Le persone con competenze tecniche e specializzate servono alla democrazia, sono vitali, basta però che facciano gli esperti e non i decisori. Gli esperti illustrano, spiegano, insegnano, consigliano, convincono o non convincono ma non devono decidere. Se decidono, la democrazia muore e siamo nella tecnocrazia.
E dunque, incompetenza non significa stupidità! È comprovato e dimostrato che non è necessario che chi delibera, chi prende decisioni, possieda competenze specifiche sull’oggetto della deliberazione; e questo è appunto già valido oggi. Qualcuno potrebbe giustamente obiettare “e infatti oggi le cose non vanno tanto bene…”. Giusto, ma ciò non dipende dal fatto che i decisori abbiano scarse competenze. Dipende dal fatto che a prevalere siano logiche diverse da quella del perseguimento dell’interesse generale di lungo periodo!
Per concludere, facciamo un esempio pratico. Se dovete fare un lavoro di ristrutturazione in casa, almeno che non siate costruttori edili, cosa fate? Vi recate da più ditte per dei preventivi e poi scegliete. Ovvero, sentite “gli esperti” e poi scegliete. Voi scegliete, non loro!
Ecco perché l’ascolto e l’interrogazione di professionisti ed esperti del settore oggetto di deliberazione da parte dei cittadini deliberanti è una delle fasi-chiave dei processi di democrazia aleatoria.
Innanzitutto, la democrazia non è il governo dei meritevoli o dei più competenti, ma del popolo.
In secondo luogo; forse la democrazia rappresentativa elettiva garantisce meritocrazia? Davvero pensiamo che gli eletti vengano eletti perché meritevoli di capacità che non siano, al limite, puramente comunicative? Per la maggior parte di chi aspira ad essere eletto l’importante non è saper fare ma saper comunicare. La politica di oggi è pura comunicazione. “Un teatrino”, se vogliamo usare un termine dispregiativo…
In terzo luogo, la democrazia aleatoria riconosce il ruolo fondamentale per la società e per la politica degli esperti, dei competenti, dei meritevoli, che hanno il delicato compito di assistere i cittadini decisori, di informali e supportarli nel loro lavoro.